Documenti sanitari: come devono conservarli le PA?

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Si discute molto di conservazione digitale e conservazione sostitutiva→, due concetti con lo stesso obiettivo, ma che prevedono dinamiche leggermente diverse. Il primo significa archiviare e conservare a norma documenti nativi digitali. Il secondo, archiviare e conservare a norma documenti nativi cartacei, trasformandoli prima in versione digitale.

Ma come si applica tutto ciò al mondo delle Pubbliche Amministrazioni, quando si trovano di fronte all’archiviazione di documenti sanitari? La risposta non è ovvia e le eccezioni sono parecchie. 

 

Conservare i documenti sanitari tra archivi cartacei e digitali 

Prima di addentrarci nelle norme, partiamo da una considerazione generale. 

Ancora oggi, una Pubblica Amministrazione può continuare a emanare i propri documenti sanitari in un formato solo cartaceo. In tal caso, deve attenersi a tutte le norme riguardanti gli archivi fisici, rispettandone non solo gli spazi materiali (molto più abbondanti che nel digitale) ma anche le norme di sicurezza, per preservare da eventuali incidenti i suddetti documenti e per garantire la protezione dei dipendenti che se ne occupano. 

Occuparsi di una gestione manuale e su supporti fragili come la carta ha sempre preoccupato e portato costi maggiori ad aziende e PA. Per questi motivi, molti hanno deciso di evolvere definitivamente i propri archivi.

Da una parte, la possibilità di digitalizzare e dematerializzare gli atti già emessi→; dall’altra, emetterli già in formato nativo digitale

 

La conservazione sostitutiva e digitale dei documenti sanitari: come funziona 

Nel caso in cui i documenti vengano emessi già in formato nativo digitale, si attua la conservazione digitale vera e propria: la cartella clinica elettronica viene convertita in un pacchetto dati “protetto” da firma digitale e marca temporale. Tutto ciò assicura alla cartella degli attributi irrinunciabili: integrità, immodificabilità e valore probatorio e legale. 

Se una Pubblica Amministrazione intende invece dematerializzare i suoi vecchi archivi, deve attraversare l’iter della dematerializzazione e della conservazione sostitutiva→. La cartella clinica digitale dovrà essere certificata da un notaio o altro pubblico ufficiale

È chiaro che per una PA gestire l’intero processo in house non è banale. Per questo, più comunemente,  (e conveniente) può appoggiarsi a un conservatore esterno→ .

 

Guida-conservazione-digitale 

 

Tempistiche di conservazione dei documenti sanitari in PA 

Scendiamo nei dettagli della gestione dei documenti sanitari, parlando di tempistiche di conservazione. In questo ambito, a dettare le linee guida è il Prontuario di selezione per gli archivi delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere→, messo a disposizione dalla Direzione generale per gli archivi.

Esaminiamo quanto devono essere conservati alcuni tra i più comuni e diffusi:

  • Per un tempo illimitato: cartelle cliniche di strutture pubbliche e private, TSO, SDO, Pronto Soccorso, accertamenti sanitari sui soggetti lavoratori, assicurazioni, verbali di collaudo, analisi dei campioni, referti personali, referti. 
  • Fino a cessazione di attività: documenti sanitari relativi a diversi argomenti, tra cui alimenti, alveari, depositi di presidi sanitari, farmacie, libretti sanitari di rischio, attestati di duralità. 
  • Per 40 anni: documenti relativi al recupero retribuzione dei dipendenti assenti dal lavoro per responsabilità di terzi. 
  • Per 30 anni: documenti sanitari attinenti a liquidazione, decreti, ordinanze. 
  • Per 20 anni: documenti relativi al sangue, e quelli della Commissione Medica Locale in materia di Patenti Speciali. 
  • Per 10 anni: la quasi totalità degli altri documenti sanitari, di cui menzioniamo alcuni esempi: fatture ed estratti conto, assistenza, campioni, radiografie, idoneità, campioni, documenti di cassa. 
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